Una overdose di comitati di esperti
Il potere politico si trova a fronteggiare una situazione di pandemia del tutto drammatica sulla cui soluzione si appunta l’attenzione di tutti noi. Siccome ci sentiamo in pericolo per la evidente minaccia alla nostra salute vorremmo sentirci protetti da interventi efficaci e risolutivi da parte del Governo. Purtroppo, pur comprendendo la estrema difficoltà di prevedere un rimedio nei confronti di un virus che non conosciamo, rimaniamo perplessi di fronte a tentativi di risposta in cui si mescolano in modo confuso profili politici e profili tecnico scientifici. È in proposito evidente come i politici, sia a livello di Governo che di autorità regionali, pretendono di assumere il ruolo dei tecnici mentre questi ultimi si arrogano un ruolo di orientamento politico. Il tutto reso più intricato dalla confusione di messaggi che vengono diffusi dalla informazione, soprattutto nei dibattiti televisivi che danno largo spazio all’esibizionismo dei tuttologi. Quindi una bella confusione. Che discende in primo luogo dalla assenza di una forte leadership governativa.
In linea astratta possiamo pensare che siccome abbiamo un Governo questo deve farsi carico del problema e risolverlo. Ma un governo quale quello italiano, come del resto tutti i governi dei Paesi di democrazia liberale, è formato da politici, alcuni professionisti altri dilettanti. Nessuno di questi personaggi è tenuto ad essere un esperto in materia di tutela della salute. Questo non vuol dire che un governo in quanto formato da persone prive di una specialistica competenza sanitaria debba essere messo in difficoltà. In tutti i sistemi politici quali il nostro le strutture delle pubbliche amministrazioni esistono proprio per fornire un supporto tecnico specialistico al personale politico che fa parte della istituzione governativa. Quindi, sempre in linea astratta, dovremmo concludere che la pandemia doveva essere affrontata dal Governo utilizzando il concorso della propria amministrazione. E in parte questo è avvenuto. I tecnici del Ministero della salute e l’Istituto Superiore di sanità questo hanno fatto o stanno facendo nei confronti del ministro di settore. Soltanto se le competenze della amministrazione sono carenti o insufficienti si dovrebbe fare ricorso all’ausilio di esperti esterni. In tal caso la nomina di esperti o addirittura di collegi di esperti dovrebbe intervenire rispettando alcuni requisiti verificabili in via preventiva: essere certi che le strutture esistenti non siano in grado di fronteggiare il problema e verificare che i soggetti che vengono individuati siano veramente competenti.
Quello che è avvenuto in Italia nelle passate settimane è a prima vista incredibile: centinaia di soggetti inseriti in task forces, gruppi di lavoro, collegi e comitati vari. Cento nominati agli Affari regionali; settantaquattro alla Innovazione; una quarantina alla Protezione civile. Non c’è presidente regionale o sindaco che non abbia nominato la sua coorte di esperti. Considerata la vera e propria inflazione di nomine di esperti o supposti tali che ha afflitto il Paese con centinaia di esperti reclutati a livello centrale e regionale dovremmo concludere per la totale carenza di professionalità nei ministeri e negli assessorati regionali o almeno per la palese dimostrazione della sfiducia manifestata dalla politica verso le amministrazioni pubbliche di settore. Si aggiunga che la molteplicità di organismi tutti più o meno orientati all’analisi e ai rimedi della pandemia richiederebbe un forte coordinamento che apparentemente non è dato vedere. Si dovrebbe quindi evitare quanto a più riprese già avvenuto in queste settimane quando gli esperti del gruppo presieduto da Colao hanno disturbato i 76 membri del gruppo per l’Innovazione, promosso dalla ministra Pisano. In questo caso al centro della disputa le modalità con cui il Governo, tramite applicazioni per smartphone, controllerà gli spostamenti dei contagiati.
Procediamo con ordine. Sin dalle primissime fasi dell’epidemia il Governo ha sentito il bisogno di istituire Comitati di esperti che ne potessero appoggiare l’attività. A pochi giorni di distanza dalla deliberazione con la quale il Consiglio dei ministri dichiarava lo stato di emergenza, il Capo del Dipartimento della protezione civile, con proprio decreto del 5 febbraio 2020, n. 371 istituiva il Comitato tecnico-scientifico composto di «autorevoli esperti» del settore sanitario incaricato di fornire indicazioni e orientamenti agli organi di governo. Quindi il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 aprile ha rilevato la necessità di avvalersi del costante supporto multidisciplinare di autorevoli esperti in vari settori, istituendo un Comitato di esperti in materia economica e sociale, con il compito di «elaborare e proporre al Presidente del Consiglio misure necessarie per fronteggiare l’emergenza epidemiologica [in atto], nonché per la ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive, anche attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali, che tengano conto delle esigenze di contenimento e prevenzione dell’emergenza».
Dopo l’istituzione del Comitato tecnico-scientifico si è ritenuto di migliorare il supporto all’organo di vertice dell’Esecutivo creando un organismo al cui interno siedono una serie di professionalità «con elevate e qualificate competenze» in differenti ambiti scientifici.
I due comitati rispondono a modelli organizzativi diversi. Entrambi svolgono una funzione ausiliaria agli organi di governo. Ma il primo è composto di personale appartenente ad amministrazioni dello Stato o, comunque, di enti pubblici. Mentre il secondo vede una commistione tra soggetti incardinati nei ruoli pubblici e soggetti privati. In particolare, la presidenza del comitato economico sociale è stata affidata a un soggetto esterno ai ruoli dell’amministrazione (specificamente, a un dirigente di aziende private).
A questo punto verrebbe spontaneo chiedersi il motivo della istituzione del comitato economico-sociale quando nel nostro ordinamento esiste già, addirittura previsto dalla Costituzione, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). La necessità richiamata nel preambolo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 aprile 2020, di «doversi avvalere del costante supporto multidisciplinare di autorevoli esperti con elevate e qualificate competenze ed esperienze professionali in diversi settori», ben poteva essere soddisfatta investendo il CNEL che per quanto è dato sapere non è afflitto dal troppo lavoro ma che dovrebbe avere nel suo seno proprio quelle competenze di cui il Governo necessitava. Si tratta infatti di un organo formato da esperti nei più svariati settori sociali ed economici particolarmente indicato per formulare pareri indirizzati al superamento della crisi sanitaria e alla impostazione di strategie orientate alla uscita dalla drammatica débacle economica che seguirà alla pandemia. Si poteva quindi impiegare l’organo di rilievo costituzionale chiamato, fra le variegate funzioni che in astratto dovrebbe adempiere, ad appagare proprio quelle alte istanze di specializzazione e di qualificazione professionale che si è andato cercando, invece, altrove.
Il ricorso massiccio agli esperti pone da tempo il problema della interferenza fra decisione politica ed expertise della scienza e della tecnica. La questione quindi non è nuova ma oggi ha assunto una rinnovata attualità. Non sapendo quali decisioni prendere il Governo e i vertici regionali si trincerano dietro a una cortina di “esperti” in modo che la decisione politica appaia giustificata da una entità superiore identificata con una generica “scienza”, entità che di per sé stessa sarebbe dotata di affidabilità. Quindi l’incapacità decisionale della politica cerca una stampella nell’aiuto offerto dalla scienza. Ma una mal digerita ricetta offerta dalla scienza porta a adottare decisioni normative perplesse, contraddittorie destinate a prorogare una situazione di incertezza. Il tutto aggravato dalla inesperienza e dal patetico protagonismo di una classe di politici di modesto spessore. D’altra parte non mancano esperti che assumono un ruolo mediatico da protagonisti che finisce per mettersi in concorrenza con le autorità governative e regionali. Si prospetta quindi una ipotesi di scientocrazia che è una forma di governo che non può giungere a eliminare la politica ma che tende a operare rendendola di fatto superflua e ne condiziona le decisioni facendo in modo che non ci siano alternative alle indicazioni proposte. La politica è arretrata in secondo piano, apparendo sottomessa ad un’autorità superiore identificata con “La scienza”. La immagine giornaliera della invasività di certi personaggi è offerta dalla presenza insistente di “esperti” nelle trasmissioni televisive in cui i conduttori assegnano ai partecipanti un ruolo del tutto sproporzionato rispetto ai criteri di misurazione che la comunità scientifica internazionale è solita pretendere per i ricercatori. Non abbiamo idea di quale sia stato il parametro di valutazione della attendibilità scientifica di personaggi decretati col rango di esperti. Ad esempio non sappiamo se si è tenuto conto dell’ «h-index», un indicatore bibliometrico ottenuto facendo la media tra il numero di pubblicazioni scientifiche e il numero delle citazioni ricevute da un dato ricercatore. E non è dato sapere se chi ha proceduto a centinaia di nomine si sia almeno preoccupato di verificare la attendibilità di scienziati o supposti tali.
Giuseppe de Vergottini